LA ZANZARA
Animato rumor, tromba vagante,
che solo per ferir talor ti posi,
turbamento de l'ombre e de' riposi,
fremito alato e mormorio volante;
per ciel notturno animaletto errante,
pon freno ai tuoi susurri aspri e noiosi;
invan ti sforzi tu ch'io non riposi:
basta a non riposar l'esser amante.
Vattene a chi non ama, a chi mi sprezza
vattene; e incontro a lei quanto più sai
desta il suono, arma gli aghi, usa fierezza.
D'aver punta vantar sì ti potrai
colei, ch'Amor con sua dorata frezza
pungere ed impiagar non poté mai.
Questa poesia, in cui le immagini inattese e gli accostamenti sorprendenti assumono un tono scherzoso, con parallelismo tra le pene d'amore e le pene determinate dal morso della zanzara: il poeta soffre già abbastanza per conto suo, senza bisogno delle punture del fastidioso insetto, e per questo lo invita a sfogarsi sulla donna, che non è afflitta da nessuna pena d'amore. Grazie a questo impoetico accostamento il motivo canonico della ferita amorosa, ovvero le sofferenze dell'innamorato non ricambiato, qui viene ripreso in chiave ironica e giocosa.
Gianfrancesco Maria Materdona, nato in provincia di Lecce, fu sacerdote. Non si hanno notizie di quel che ha fatto nella sua vita. Oltre alle poesie, raccolte nelle Rime(1629), scrisse opere edificanti, come Le lettere di buone fèste (1624) e L'utile spavento del peccatore (1629).
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